È possibile uno Stato federale europeo? La tesi di Dussouy che potrebbe non dispiacere a Macron
di Gennaro Malgieri
L’Europa non va abrogata, ma ripensata. Se le sue strutture burocratico-amministrative non rispondono alle esigenze dei cittadini europei, la soluzione non è quella di buttare a mare l’Unione, ma di concepirla in modo diverso da come fin qui è stata strutturata dalle burocrazie manovrate da politici per lo più incompetenti. È evidente che c’è bisogno di un grande progetto e di una discussione che superi l’antinomia che ha contrapposto euroscettici ed eurottimisti negli ultimi anni fino a sfociare nel massacrante duello francese dal quale è venuta fuori un’immagine distorta dell’Europa a causa della radicalizzazione della campagna elettorale. Insomma, Marine Le Pen ed Emmanuel Macron sono andati oltre le loro stesse intenzioni, temiamo, nell’impostare la polemica sulla cancellazione e/o esaltazione dell’Europa.
Prendiamo tra le mani il libro, apparso in Francia da qualche tempo, ma uscito in edizione italiana pochi mesi fa di Gérard Dussouy, Fondare lo Stato europeo (Controcorrente, pp. 158, 20 euro), e leggiamo: “Il disagio sociale e identitario in Europa spiega la forte ondata dei nazional-populismi attraverso tutto il continente i quali attribuiscono, non senza ragione, all’Unione europea, acquisita da molto tempo all’ultraliberalismo, tutti i mali generati dall’apertura sconsiderata delle frontiere. Al tempo stesso, questi movimenti non hanno soluzioni pertinenti di fronte ai considerevoli problemi che si pongono, ma guardano anzitutto alla commemorazione del passato, fatto soprattutto di conflitti intereuropei, e deplorano la grandezza perduta”.
Un vicolo cieco, dice Dussouy per il quale “l’ipotesi dello Stato europeo è, al livello delle sfide che si presentano e dei problemi che si pongono, l’unica realistica perché permette di opporre loro (ai populisti, ndr) delle credibili soglie di risposta, e di costituire masse critiche che siano alla loro altezza”. E si spiega meglio quando afferma che la promozione di un’identità europea deve “recuperare” e non “assorbire” le identità anteriori, “protette in tal modo dai dai flussi del meticciato globale o più probabilmente dalle nuove egemonie culturali in gestazione non Asia e in Medio Oriente”. Per quale motivo il nuovo europeismo che il politologo, docente all’Università di Bordeaux, immagina possibile, al di là delle divisioni che stanno distruggendo l’Europa stessa, e che dovrebbe essere promosso da movimenti civici più che dai partiti politici tradizionali?
Per dare vita a quello che chioma il “patriottismo geografico”, che presenta una duplice particolarità: “Da un lato il passaggio dal livello locale o nazionale all’Europa, senza rinunciare ai vecchi legami, e dall’altro alla volontà di vivere insieme e di far valere le eredità che tutti i membri del continente hanno in comune. Un simbolo forte del ‘patriottismo geografico’ può essere visto e in ogni caso questo sorprende in viaggiatore, nella presenza di una statua do Orlando di Roncisvalle sulla piazza principale di Riga, capitale della Lettonia!” È molto più convincente questo tipo di patriottismo rispetto al “patriottismo costituzionale” propugnato da Jürgen Habermas.
Al fondo dalla “proposta” di Dussouy vi è la realizzazione di uno Stato europeo federale e volontario, non dissimile nella sostanza dal teorico del Paneuropeismo propugnato tra le due guerre da Richard Coudenhove-Kalergi e ripreso da Otto d’Asburgo, ma incredibilmente “demonizzato” da nazional-populisti che probabilmente non l’hanno compreso. Comunque, la prefazione al libro di Dussouy reca la firma di un intellettuale non certo incline a simpatie liberal-democratiche, il cui suicidio, sull’altare di Notre-Dame a Parigi, il 21 maggio 2013, lo rese “famoso”: Dominique Venner.
Era un uomo mite e colto, autore di saggi storici memorabili, combattente e nazionalista, ma soprattutto europeista convinto fino a testimoniarlo uccidendosi. La sua, infatti, fu una protesta contro la decadenza dei valori europei. Lasciò scritto: “Io mi dò la morte al fine di risvegliare le coscienze assopite. Mi ribello contro la fatalità del destino. Insorgo contro i veleni dell’anima e contro gli invasivi desideri individuali che stanno distruggendo i nostri ancoraggi identitari, prima su tutti la famiglia, intimo fondamento della nostra civiltà millenaria. Mentre difendo l’identità di tutti i popoli a casa propria, mi ribello nel contempo contro il crimine che mira alla sostituzione dei nostri popoli.”
Venner, tutt’altro che insensibile alla “causa europea”, sottolinea che la sfida alla quale fa riferimento Dussouy è quella di “una morte programmata dell’Europa”. Il politologo non pensa “all’incubo tecnocratico e mondialista di Bruxelles, ma all’Europa dei popoli, l’Europa civiltà, nata dall’antica Grecia, da Roma e dai popoli fratelli, Celti, Germani e Slavi, che fecondarono il cristianesimo medievale, il Rinascimento, l’Illuminismo, e la laicità”. E ancora: “Oggi disunita, minata da influenze deleterie, l’Europa s’incammina a grande velocità verso la dissoluzione della sua antica civiltà e la disintegrazione delle sue nazioni, per gli effetti congiunti dell’invecchiamento, dell’immigrazione e della sclerosi economica”. Il tutto nel quadro di un “declassamento europeo da parte delle nuove potenze mondiali.”
Potrà sembrare strano, ma le tesi di alcuni (perlopiù sconosciuti) nazionalisti europei – che non flirtano con improvvisati difensori di una civiltà in declino – se non coincidono per alcuni aspetti s’assomigliano a quelle di Macron che in campagna elettorale le ha stravolte per arginare la concorrenza.
Quando nell’autunno dello scorso anno lessi Révolution, il saggio di colui che era soltanto – per alcuni – il velleitario “inventore” del movimento “En Marche!”, rimasi sorpreso che un tecnocrate, un banchiere, un ex-ministro socialista, muovesse critiche condivisibili all’Unione europea senza rinnegare l’Europa. Oggi che il libro-manifesto del neo-presidente francese è a disposizione, con il titolo Rivoluzione, dei lettori italiani ci si può rendere conto che distanze dagli avversari non sono abissali. Scrive Macron: “L’Unione europea si è illanguidita per colpa di noi tutti. Oggi si avverte ovunque un logoramento delle idee e dei metodi. E’ l’intero sistema che è devitalizzato e gira a vuoto. I summit dei capi di stato e di governo ne sono l’immagine caricaturale… hanno fatto di tutto, nel corso di molti anni, per porre alla guida dell’Unione europea dei leader inconsistenti… la scelta dei leader europei, la prassi delle loro amministrazioni, la proliferazione delle norme, l’insufficiente applicazione del principio di sussidiarietà, dovrebbero sempre essere sottoposte a un rigoroso esame. Anche se, le istituzioni europee, oggi come oggi, non sono in grado di condurre un tale esame.”
Qualcuno, soprattutto in casa nostra, affrettatosi a diventare “macroniano” la sera della vittoria, avrebbe dovuto avere l’onestà di leggere questi passi: si sarebbe capito perché dopo pochi giorni Juncker e compagnia cantante avrebbero criticato, come è avvenuto, il giovane presidente francese. A Bruxelles possono anche dirsi d’accorso sul proposito espresso da Macron di “recuperare il desiderio dell’Europa”, ma non certo il modo per farlo perché dovrebbero smentire se stessi, politici e burocrati: “Non dobbiamo ripartire dalla tecnica, dalle soluzioni complicate e burocratiche, bensì costruire un progetto politico autentico. I paesi europei per i quali l’Europa non si riduce semplicemente a un mercato, ma disegna uno spazio in cui si afferma una certa idea dell’uomo, della libertà d’intraprendere, del progresso e della giustizia sociale, devono tornare a riconoscersi in tale progetto e organizzarsi di conseguenza.”
Complicato? Può darsi. Ma soltanto se la discussione è condizionata dal pregiudizio. Allora non si capisce più niente. Emmanuel Macron scrive: “I veri sovranisti sono i pro europei… La sovranità, per una popolazione, è il libero esercizio delle sue scelte collettive, del suo territorio.” Dominique Venner osservava: “Una autentica sovranazionalità s’imporrà come una questione di vita o di morte. Con la creazione di un vero Stato, essa partorirà uno spazio economico europeo omogeneo e scollegato dal mercato mondiale del lavoro.”
Lo spazio della polemica ci auguriamo che si restringa fino a far luogo a quello delle proposte, rifiutando egemonie nel Vecchio Continente. Se l’Unione è “illanguidita”, come crediamo, la si rigeneri, ma con gli strumenti della politica e della partecipazione. Soltanto allora potrà sorgere una Repubblica federale europea come auspicato da Gérard Dussouy e, forse, non disdegnata da Emmanuel Macron.